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Cucinare per sè e per gli altri: i benefici

Cucinare, con e per l’altro, rappresenta uno strumento per riconquistare la propria quotidianità, e diventa anche un modo per curare in maniera creativa e non medicalizzata disturbi più o meno gravi legati a stress, ansia e depressione.

La cucinoterapia ha un valore terapeutico fisico, cognitivo, sociale e intra-personale:

Fisico: quando si cucina, spalle, mani, polsi, gomiti e collo sono impegnati nella ricerca di un buon equilibrio generale, dell’energia e della forza muscolare.

Cognitivo: tutti i sensi sono attivati, si migliora la capacità di gestione del tempo, si affinano versatilità, memoria e concentrazione.

Sociale: creare cibi speciali per gli amici o i familiari favorisce la condivisione delle esperienze sensoriali e facilita il contatto e la comunicazione. Se poi si cucina in compagnia, i fornelli diventano uno strumento di dialogo e scambio, a volte anche di confidenze.

Intra-personale: la realizzazione di un piatto è l’espressione della propria creatività e della capacità di scegliere, di decidere, di sentirsi gratificati per l’obiettivo raggiunto.

Cucinare permette di ritrovare sé stessi e di relazionarsi con gli altri recuperando fiducia e istinto alla socialità.

La cooking therapy può essere intesa sia come attiva che passiva.

La sola modalità passiva, mangiare alimenti di ottima qualità e sapore, migliora l’autostima, l’interazione sociale, diminuisce l’ansia, migliora il benessere psicologico, migliora la qualità della vita.

La modalità attiva, basata sulla preparazione dei cibi, può avvenire: in cucine ‘speciali’ cioè compatibili con le disabilità motorie degli arti inferiori o superiori, in cucine classiche e virtualmente al computer.

Quando è attiva non è solo l’atto di un singolo ma si può fare anche in gruppo. I gruppi di cucina possono aiutare a favorire la socializzazione e migliorare l’isolamento sociale.

“Oggi la cooking therapy è spesso utilizzata per la riabilitazione di pazienti con deficit cognitivi, disabilità mentali o disturbi psichiatrici”, spiega Antonio Cerasa, neuroscienziato e ricercatore del Cnr, autore del saggio La cooking therapy. “In particolare – prosegue Cerasa – abbiamo visto che questo tipo di terapia è utile a persone con malattia di Alzheimer, o soggetti autistici che trovano rasserenante il susseguirsi di semplici mansioni che caratterizzano la cucina”.

Fonte: frollalab.it